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Lettera alla madre e ai fratelli

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Francesco Dalla Sega, detto Fraosto, nato a Rovigo nella prima metà del '500, era di
famiglia benestante e aveva vissuto come tanti altri giovani della sua età e
condizione sociale.
Scrive lui stesso in un memoriale per il Sant'Uffizio: «Nel tempo passato, come oggi
la maggior parte degli uomini, ho vissuto nel mondo secondo la carne e cercando di
piacere ad essa; e così mio padre mi mise a Padova a studiare legge civile per poter
avere una reputazione ed ingrandire la nostra casa; e questo facevo non
tralasciando di darmi buon tempo per seguire tutti i piaceri della carne nella vita
licenziosa del mondo con balli, feste, giochi, donne, mangiate, sbevazzamenti, e altre
simili poltronerie, peccati contro la legge del Vangelo. E con tutto questo credevo di
essere un buon cristiano, perché facevo come gli altri».
Un giorno però, che si era ammalato ed era a letto, arrivò il calzolaio, con cui aveva
un appuntamento che si era dimenticato di disdire. Questo calzolaio leggeva le
Scritture e, ragionando spiritualmente con Francesco della sua malattia, poté
spiegargli che quella sua vita non era da cristiano e che leggendo il Vangelo lo
avrebbe visto chiaramente da sé.
Così infatti fu. Continua poco più sotto lo stesso memoriale: «Incominciai a leggere
la Sacra Scrittura, nella quale trovavo che il Signore insegna una strada per andare
in Paradiso, dalla quale mi vedevo molto lontano, e comprendevo perciò di stare
andando alla perdizione e al fuoco eterno. Né trovavo rimedio per la salvezza della
mia anima, pur essendo diligente alla confessione e alla comunione e alle altre cose
ordinate alle quali tutti sono abituati, perché in questo modo tornavo peccatore come
prima e mi capitava come è scritto nel proverbio: la porca lavata torna al fango, e il
cane torna a mangiare la cosa che ha vomitato (...). Allora cominciai ad invocare il
Signore del cielo e a pregarlo che mi facesse grazia di camminare per le sue vie, e
contemporaneamente leggevo la sua parola, e trovavo che bisognava essere
veramente pentiti e dare frutti del proprio pentimento, lasciando il male e
accostandosi al bene (chi vuol esser salvo), e così andare a Cristo e imparare da lui,
che in lui si trova riposo all'anima nostra».
Francesco aggiunge che quando cominciò a fare queste cose gli successe quello
che dice il Gesù: «Sarete in odio a tutti per il mio nome e quelli di casa vostra
saranno i vostri nemici». Il padre lo scacciò di casa. I suoi amici lo prendevano in
giro perché non voleva più vivere «nella medesima vita inutile e lussuriosa come gli
altri».
Per tutta la nuova famiglia spirituale nella quale era entrato a far parte dopo la
conversione (si era ribattezzato a Porcìa, nel Pordenonese), non era facile vivere la
fede come il Signore ci insegna a fare, cioè pubblicamente. 

 

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